Posts tagged with “sentenze”

Divisione ereditaria: alcune sentenze rilevanti

sentenze-divisione-ereditaria.jpg

La stima dei beni per la formazione delle quote ai fini della divisione ereditaria, a norma dell’art. 726 c.c., deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione anche quando lo stato di comunione è conseguenza dell’accoglimento dell’azione di riduzione ed è strumentale alla reintegrazione della legittima. (Trib. Palermo, 02/05/2023, n. 2061)

La collazione riguarda le donazioni (dirette e/o indirette) ma non i beni - come nella specie - oggetto di trasferimento a titolo oneroso (anche se a favore del coerede), poiché in tal caso, l'obbligo di collazione sorge solo dopo che sia stata dichiarata la simulazione dell'atto, in accoglimento di apposita azione proposta dal coerede che chiede la divisione, il quale, nel proporre l'azione di simulazione, non è terzo ma subentra nella posizione del de cuius, anche ai fini della prescrizione dell'azione medesima che già rientrava nel patrimonio del de cuius. (Corte App. Bari, 28/03/2023, n. 511)

La domanda volta a conseguire la declaratoria di nullità di una divisione ereditaria giudiziale già attuata dà luogo ad un giudizio a carattere universale ed unitario sulla base di un rapporto soggettivo indivisibile, che deve svolgersi nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione; ne deriva la sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario dei coeredi parti del giudizio divisorio, con la conseguenza che l’inosservanza, anche solo parziale, dell’ordine di integrazione del contraddittorio, determina l’inammissibilità del ricorso per cassazione e non l’improcedibilità dello stesso ex art. 371 bis c.p.c. che si riferisce, invece, al difetto del successivo adempimento del deposito dell’atto di integrazione del contraddittorio, debitamente notificato. (Cass. Civ. Sez. II, 17/08/2022, n. 24834)

In caso di divisione ereditaria, qualora l’immobile non sia facilmente divisibile, l’addebito dell’eccedenza a carico del condividente assegnatario del bene ed a favore di quello non assegnatario (o assegnatario di un bene di valore inferiore), prescinde dalla domanda delle parti, in quanto attiene alle concrete modalità di attuazione del progetto divisionale devolute alla competenza del giudice: infatti, la sentenza di scioglimento della comunione persegue proprio l’effetto di perequare il valore delle rispettive quote. (Corte App. Napoli Sez. IV, 25/07/2022, n. 3455)

In tema di divisione ereditaria, si evidenzia come nel procedimento di scioglimento della comunione, il giudice istruttore, alla stregua di quanto sancito dall’art. 789, 3° e 4° comma c.p.c., può procedere all’estrazione a sorte dei lotti solo quando le contestazioni al progetto di divisione da lui predisposto siano state risolte con sentenza passata in giudicato. Tuttavia, l’ordinanza di sorteggio erroneamente resa in difetto di tale condizione, non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di natura istruttoria, di per sé revocabile e privo del necessario carattere della decisorietà. (Corte App. Ancona, 20/07/2020, n. 963)

In tema di divisione ereditaria, il criterio dell’estrazione a sorte, previsto dall’art. 729 c.c., attiene al caso di uguaglianza di quote ed è posto a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, applicabile anche nell’ipotesi di divisione dei beni comuni, in virtù del rinvio recettizio di cui all’art. 1116 c.c. (Trib. Latina Sez. I, 16/02/2022, n. 335)

Nel giudizio di divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione (che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente), la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo ab origine un debito di valuta a carico del donatario cui si applica il principio nominalistico; ne consegue che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento. (Cass. Civ. Sez. II, 14/02/2022, n. 4671)

In tema di divisione ereditaria, quando tra i condividenti non vi sia stato accordo per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione deve ritenersi istaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta individuazione di tutto ciò che ne forma oggetto; pertanto, salva l’operatività delle preclusioni dell’ordinario giudizio di cognizione, l’indicazione dei beni può essere compiuta successivamente alla domanda anche dal condividente che non l’abbia proposta, costituendo essa una precisazione dell’unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione. (Cass. Civ. Sez. II, 14/01/2022, n. 1065)

In tema di divisione ereditaria, il condividente che sul bene comune da lui precedentemente posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 c.c., secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti, ma, al più, quale mandatario o utile gestore degli altri condividenti partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per il suddetto bene comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore. Invero, il pregresso stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti, della cui dimostrazione, sia nell’“an” che nel “quantum”, è onerato colui che ne invoca il riconoscimento, che dovrà conseguentemente fornire prova delle spese concretamente sostenute per materiali o manodopera. (Corte App. Napoli Sez. VI, 02/03/2021, n. 767)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Diritto di abitazione del coniuge superstite: alcune sentenze rilevanti

sentenze-diritto-di-abitazione-del-coniuge-superstite.jpg

Il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola “casa adibita a residenza familiare”, e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l’individuazione di un solo alloggio costituente, se non l’unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia. (Cass. Civ. Sez. II, 10/03/2023, n. 7128)

La permanenza del coniuge superstite nella abitazione familiare, pertanto, sia nell'ipotesi di successione testamentaria che di successione legittima, è qualificabile come esercizio del diritto di abitazione e di uso, e quindi prescinde dall'ulteriore qualità di chiamato all'eredità, con la conseguenza che deve escludersi, in capo al coniuge, la qualità di possessore dei beni ereditari per gli effetti previsti dall'art. 485 c.c. (Trib. Napoli Sez. VIII, 15/02/2023, n. 1666)

Il solo fatto della permanenza del coniuge superstite nella casa familiare già in proprietà del de cuius non può di per sé ritenersi una manifestazione di possesso dei beni ereditari, potendo esso manifestare l'esercizio dei diritti di abitazione e di uso attribuiti dall'art. 540 comma 2 c.c. (App. Napoli Sez. VI, 25/05/2022, n. 2310)

Il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare, sancito dall’art. 540 c.c. in favore del coniuge sopravvissuto, sussiste qualora detto cespite sia di proprietà del “de cuius” ovvero in comunione tra questi ed il coniuge superstite, mentre esso, al contrario, non sorge ove il bene sia in comunione tra il coniuge deceduto ed un terzo, non essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare, in concreto, al coniuge sopravvissuto il godimento pieno del bene oggetto del diritto; in tale ultima evenienza, peraltro, non spetta a quest’ultimo neppure l’equivalente monetario del citato diritto, nei limiti della quota di proprietà del defunto, poiché, diversamente, si attribuirebbe un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo ove apporti un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge sopravvissuto, garantendo in concreto il godimento dell’abitazione familiare. (Cass. Civ. Sez. II, 20/10/2021, n. 29162)

Il diritto di abitazione ed uso ex art. 540, comma 2, c.c. è devoluto al coniuge del “de cuius” in base ad un meccanismo assimilabile al prelegato “ex lege’ per cui la divisione della comunione ereditaria non può avvenire che a seguito della detrazione del valore capitale del diritto di abitazione dal valore complessivo della massa ereditaria. (Trib. Lanciano Sez. I, 01/07/2021, n. 209)

Nel caso in cui venga esperita, nei confronti dell’erede, domanda di rendiconto dei frutti percepiti e percipiendi sui beni facenti parte dell’asse ereditario a far data dalla morte del de cuius, tale domanda potrà riguardare tutti i cespiti, ad eccezione dell’appartamento che abbia costituito residenza familiare, poiché il coniuge superstite, vantando sullo stesso – ai sensi dell’art. 540, comma 2 c.c. – il diritto di abitazione ed attribuendo tale titolo il diritto di goderne in via esclusiva, non potrà essere chiamato al rendiconto su tale immobile, con la conseguenza che la domanda di rendiconto deve essere limitata ai restanti beni. (App. Catanzaro Sez. I, 19/03/2021, n. 379)

In tema di imposta di registro, al diritto di abitazione riconosciuto al coniuge superstite ex art 540, comma 2, c.c., non consegue, “ex se”, il riconoscimento a favore dello stesso delle agevolazioni cd. “prima casa”, dovendo queste essere oggetto di specifica richiesta da parte del coniuge che intende avvalersene al fine della necessaria verifica della sussistenza in capo al medesimo dei presupposti per conservare i relativi benefici. (Cass. Civ. Sez. VI, 09/04/2019, n. 9890)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Deposito cauzionale nella locazione: alcune sentenze rilevanti

sentenze-deposito-cauzionale.jpg

L’obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sorge al termine della locazione, ma soltanto se il conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, giacché, diversamente, assume rilievo la funzione specifica del deposito, che è quella di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del conduttore. Il locatore, quindi, può soddisfare (in tutto o in parte) il suo credito per i canoni con il deposito cauzionale ed eccepire l'estinzione del credito di restituzione del deposito del conduttore per effetto della compensazione con il proprio credito. (Trib. Latina, sent. n. 549 del 07/03/2023)

In caso di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, spetta al locatore non inadempiente il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto l'utile ricavato o che, con l'uso della normale diligenza, avrebbe potuto ricavare dall'immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto. (Cass. Civ. Sez. VI, 05/01/2023, n. 194)

Le cause relative a rapporti di locazione di immobili urbani sono devolute alla competenza per materia del Tribunale: tra di esse rientrano quelle aventi ad oggetto la restituzione, anche in parte, del deposito cauzionale al conduttore, nel quadro di un cessato rapporto di locazione immobiliare ad uso abitativo. (Trib. Roma Sez. VI, 29/04/2022, n. 6914)

In tema di estensione dei limiti del giudicato ex articolo 2909 del Cc, quando il decreto ingiuntivo non sia stato opposto, il giudicato così formatosi fa stato tra le parti non solo sull’esistenza e validità del rapporto corrente inter partes, ma anche circa l’inesistenza di fatti impeditivi o estintivi, non dedotti ma deducibili nel giudizio di opposizione. Nel caso di specie, dopo la restituzione del deposito cauzionale da parte dell’ex locatore, avvenuta dopo la notificazione del decreto ingiuntivo richiesto dall’ex conduttore e divenuto definitivo, l’ex locatore aveva poi chiesto con altro procedimento di ingiunzione il pagamento di oneri accessori. Per i giudici tali pretese economiche dovevano essere fatte valere dall’ex locatore in sede di opposizione al primo decreto ingiuntivo, il cui passaggio in giudicato preclude l’esame del merito. (App. Roma Sez. VIII, 07/12/2021, n. 7634)

In tema di contratto di locazione, i caratteri tipici del preliminare possono rinvenirsi nell’assunzione da parte di entrambe le parti di un obbligo di ” facere”, ossia di prestare il consenso al futuro definitivo, nella previsione di un termine finale per la stipula del definitivo, nel differimento al momento della conclusione del definitivo del versamento del deposito cauzionale. Né costituisce un ostacolo alla qualificabilità di un contratto di tal fatta come contratto preliminare la previsione della consegna anticipata dell’ immobile, con facoltà per il promissario conduttore di eseguire sull’ immobile medesimo lavori specificamente previsti nel contratto, circostanza, questa, che spesso caratterizza anche il preliminare di compravendita. (Trib. Benevento, 13/09/2021, n. 1774)

In tema di locazione di immobile ad uso abitativo, considerato che la funzione del deposito cauzionale è di garantire il locatore per l’adempimento di tutti gli obblighi, legali e convenzionali, gravanti sul conduttore, e quindi non soltanto di quello del pagamento del canone ma anche quello di risarcimento dei danni per l’omesso ripristino dei locali, va evidenziato che l’obbligazione del locatore di restituire al conduttore il deposito cauzionale dal medesimo versato in relazione gli obblighi contrattuali sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, il conduttore può esigerne la restituzione. (Trib. Pavia Sez. II, 06/03/2020, n. 1765)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Revoca dell’amministratore di condominio: alcune sentenze rilevanti

revoca-amministratore-di-condominio-sentenze.jpg

Il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, ai sensi degli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att., c.c., costituisce un provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto sostitutivo della volontà assembleare ed ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi tipiche di compromissione della stessa. L’art. 1129 c.c. affida la titolarità del potere di revoca solamente all’assemblea, mentre la revoca disposta dall’autorità giudiziaria ha un esplicito carattere sanzionatorio, sicché, rispetto ad essa, il ruolo del singolo condomino è esclusivamente di impulso procedimentale. Pur incidendo sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, il decreto di revoca non ha, pertanto, carattere decisorio, non precludendo la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, relativa al diritto su cui il provvedimento incide. (Cass. Civ. Sez. II, 02/02/2023, n. 3198)

Nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell'amministratore, interessato e legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore (a titolo personale), non anche il Condominio, che, pertanto, non può intervenire in adesione all'amministratore, né beneficiare della condanna alle spese del condomino ricorrente. (Cass. Civ. Sez. II, 30/01/2023, n. 2726)

L’omessa dimostrazione del possesso dei requisiti di cui all’art. 71-bis, lett. g), disp. att. c.c. e dell’ottemperanza all’obbligo di una continuativa formazione periodica, a parere di questo collegio, costituisce già di per sé una grave irregolarità che giustifica la revoca dell’amministratore, in linea con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito. (Trib. Vasto, 12/11/2022, n. 4454)

L’amministratore di condominio, in ipotesi di revoca deliberata dall’assemblea prima della scadenza del termine previsto nell’atto di nomina, ha diritto, oltre al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, anche al risarcimento dei danni, in applicazione dell’art. 1725, comma 1, c.c., salvo che sussista una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico. (Cass. Civ. Sez. II, 19/03/2021, n. 7874)

È inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dagli articoli 1129 del codice civile e 64 delle disposizioni attuative del codice civile, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo. (Cass. Civ. Sez. VI, 22/09/2020, n. 19859)

In tema di condominio, il singolo condomino è legittimato a chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore in tutti i casi – seppure non tipici – di comportamenti contrari ai doveri imposti dalla legge e dal regolamento o che, comunque, pregiudichino la gestione economica o sociale del condominio, e ciò a prescindere dalla inerzia o volontà contraria dell’assemblea. In tal giudizio, è esclusa la mediazione in quanto si tratta di un procedimento di volontaria giurisdizione. (Trib. Milano sez. giurisd., 28/03/2018, n. 955)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Arricchimento senza giusta causa: alcune sentenze rilevanti

arricchimento-senza-giusta-causa.jpg

Estraneo all’occupazione sine titulo è anche il paradigma dell’arricchimento senza causa (art. 2041), nel quale l’assenza di giusta causa dello spostamento patrimoniale non riveste il carattere dell’antigiuridicità, mentre la diminuzione patrimoniale che qui si fa valere corrisponde a un danno per la presenza di un fatto illecito. (Cass. Civ. Sez. U., 15/11/2022, n. 33659)

La cessazione delle attività da parte di una società importatrice, può costituire un motivo non imputabile alla Stato membro e se lo stesso aveva anticipato delle somme come cauzione a fronte di dazi doganali antidumping da recuperare a carico dell’importatore, queste somme possono costituire ingiusto arricchimento dell’Unione europea e vanno restituite. (Trib. I grado UE Sez. VI, 11/05/2022, n. 151 )

L’azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c. presuppone che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, quindi quando essa rappresenta la conseguenza di un contratto o di un altro rapporto non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o il diverso rapporto conservino rispetto alle parti e ai loro aventi causa la propria efficacia obbligatoria. Dunque, l’assenza di giusta causa non può essere (utilmente) invocata quando l’arricchimento sia conseguenza di un contratto o di altro rapporto compiutamente regolato (ancora in vita). (Corte App. Milano Sez. III, 05/04/2022, n. 371)

Per la domanda di arricchimento senza giusta causa la sussistenza del requisito del depauperamento, richiesto dall’art. 2041 c.c. come presupposto per l’esercizio dell’azione generale di arricchimento, richiede la dimostrazione che il convenuto non ha alcun titolo per giovarsi di quanto corrisponde alla perdita patrimoniale, subita dall’istante senza la propria volontà e senza un’adeguata esplicita causa giuridica; pertanto, il diritto all’indennizzo non può essere riconosciuto se il depauperamento è giustificato da una ragione giuridica, come quando sia avvenuto per una spesa fatta dall’istante nel proprio esclusivo interesse, sia pure con indiretta utilità altrui. (Trib. Lecce Sez. II, 17/03/2022, n. 757)

La domanda di arricchimento senza causa può essere proposta anche per la prima volta in appello, purché prospettata sulla base delle medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado. (Cass. Civ. Sez. II, 24/11/2020, n. 26694)

L’azione di arricchimento senza causa, avendo natura residuale, non è legittimamente esperibile qualora il danneggiato abbia la facoltà di esercitare un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito onde evitare il pregiudizio economico paventato. (Cass. Civ. Sez. VI, 06/03/2020, n. 6404)

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'